mercoledì 25 gennaio 2012

LEOPARDI E LA SCIENZA

Tutti abbiamo almeno una volta avuto a che fare con le opere letterarie di Giacomo Leopardi (1798-1837), poeta vissuto nel piccolo borgo di Recanati, nelle Marche, che ha trascorso la sua vita interamente studiando e componendo liriche.















Tutti abbiamo, nella nostra esperienza scolastica, sentito parlare dei noti "7 anni di studio matto e disperatissimo" che Leopardi ha passato nella biblioteca paterna, procurandogli anche una vistosa gobba che lo caratterizzerà per il resto della sua infelice e breve esistenza.
Il tema principale della poetica leopardiana è sicuramente il pessimismo, che si evolve man mano, col passare del tempo, fino a diventare "cosmico".
Tuttavia, in questa sede, non ci occuperemo di una trattazione filosofica o letteraria del suddetto autore.
Al contrario, andremo a discernere alcuni argomenti scientifici che si possono direttamente (o attraverso qualche riflessione) collegare a lui.
Partiamo dall'astronomia.
Per chi non lo sapesse, Leopardi scrisse, nel 1813, quando aveva appena 15 anni e si trovava ancora "rinchiuso" nella biblioteca del padre Monaldo, un'opera scientifica di alto valore: Storia dell'astronomia.
Prima di approfondire la questione, risulta utile dire che Monaldo era fortemente contrario al sistema copernicano, nonostante ai suoi tempi, quel sistema cosmologico aveva preso il sopravvento, specialmente nell'ambiente scientifico, sull'ormai inutile sistema geocentrico-tolemaico (seppure ancora valorizzato dalla Chiesa).
Ma, a dispetto di ciò, nel 1812 il figlio Giacomo componeva un Dialogo filosofico sopra un moderno libro intitolato "Analisi delle idee ad uso della gioventù".
Esso rappresentava un saggio polemico nei confronti appunto del libro "Analisi delle idee ad uso della gioventù" di Mariano Gigli, professore di geometria ed algebra del Liceo del Musone a Macerata (scuola che il giovane avrebbe dovuto frequentare se avesse scelto di seguire un insegnamento pubblico).
Il lato interessante dello scritto leopardiano è che, oltre a confutare le tesi di filosofi come Hobbes, Spinoza, Helvetius ed altri, esso contiene una prima esplicita adesione al sistema copernicano.
Riporto un passo della suddetta opera di Leopardi:

"L'immortale astronomo, il celebre Giovanni Keplero scuopre due leggi astronomiche dimostrate con tutta la fisica evidenza, le quali lo fanno riguardare come il padre dell'astronomia....L'immortale Niccola Copernico dopo mile osservazioni, e ricerche dà finalmente alla luce un sistema astronomico, il quale può dirsi l'unico, che atto sia a spiegare adeguatamente i fenomeni Celesti....Il grande Isacco Newton dopo assidui studi e reiterate esperienze pubblica un sistema di fisica ignoto in gran parte ai secoli anteriori, sistema che solo è capace di render pago un saggio indagatore delle leggi naturali." 

Questo rappresentò il primo passo verso l'opera scientifica più rilevante di Leopardi: Storia dell'astronomia.
La Storia dell'astronomia dalla sua origine fino all'anno MDCCCXI (= 1811) fu pubblicata postuma da Cugnoni nel II volume delle Opere inedite, priva del capitolo V, e interamente da Francesco Flora in Poesie e prose
Quali furono le fonti principali a cui Leopardi attinse per dar vita a tal opera?
La fonte principale per il giovane fu sicuramente la Storia dell'astronomia di Bailly, ridotta in compendio dal signor Francesco Milizia, terminante con la scoperta di Urano da parte di William Herschel nel marzo 1781 a Bath.
Altre importanti fonti furono:
  • l'Abrégé d'astronomie di Lalande;
  • il Dictionnaire de Physique di Paulian;
  • Opere di Galileo;
  • I Philosophiae Naturalis Principia Mathematica di Newton;
  • Le Histoires de l'Académie Royale des sciences avec les mémoires;
  • l'Encyclopédie méthodique;
  • gran parte delle opere di Cartesio, ecc.
Nella sua trattazione storica, Leopardi si sofferma molto sull'intevallo temporale che va da Copernico a Galileo, analizzando approfonditamente le fondamentali scoperte astronomiche di Tycho Brahe, del quale biasima soltanto la sua tendenza a credere all'astrologia e alle superstizioni.
Su Galileo afferma:

"L'anno 1564 sarà sempre memorabile presso gli astronomi per la nascita accaduta in esso dell'immortale Galileo Galilei, celeberrimo astronomo e matematico....Egli fu che pose i fondamenti della scienza i di cui misteri ci son sempre presenti, senza che destino in noi alcuna meraviglia, Noi nasciamo e viviamo col moto, i suoi fenomeni si cangiano, si succedono, si moltiplicano di continuo intorno a noi; ma l'abitudine di vederli fa sì che da noi non vengano apprezzati...Galilei era filosofo, era matematico; due prerogative, che lo resero abilissimo a porre i fondamenti della scienza del moto."

Ma Leopardi tesse le lodi anche di Keplero:

"Con un ingegno riformatore egli si diede ad esaminare le diverse parti dell'astronomia. Una di queste, cioè l'ottica, era assai negletta. Keplero si applicò a perfezionarla....Keplero stabilì che i pianeti si muovono in una ellisse. Una congettura, che fece Keplero, mostra quali sublimi idee, egli avesse intorno al meccanismo dell'universo: questa è, che il Sole si aggiri intorno al suo asse...Qual danno che Keplero non sia vissuto dei secoli! Nato con un ingegno straordinario, con un genio brillante, con un talento riformatore, non avrebbe mai cessato di esser utile all'uman genere."

Ovviamente, anche Newton rientra all'interno della sublime trattazione leopardiana:

"Newton fe' nascere un'astronomia nuova, l'astronomia fisica, la scienza delle cause, dalle quali risultan quegli effetti, che per tanti secoli sono stati l'oggetto delle umane ricerche. Le scienze furono da principio isolate, si ravvicinarono appoco appoco, e si prestarono vicendevolmente soccorso, ed allora cominciarono a far considerabili progressi. L'astronomia era una volta la scienza de' fenomeni lontani: la fisica consisteva nello studio di ciò, che si opera intorno a noi, nella considerazione degli elementi e delle meteore. Keplero ebbe la idea di un tutto, e cercò di legare la natura celeste colla natura terrestre; ma non giunse a conoscer le leggi di questa unione, e nelle cause da lui immaginate conteneansi più errori, che verità. Descartes ripigliò questa grande idea, ma i suoi sistemi non furono ammissibili. Per congiungere la natura celeste colla terrestre convenìa mostrare che i loro fenomeni sono identici, operati dalle stesse cause e regolati dalle stesse leggi. Questo è ciò, che noi dobbiamo a Newton."

Come abbiamo visto, la Storia dell'astronomia di Leopardi si conclude trattando l'anno 1811, ossia quello in cui fu scoperta la grande cometa C/1811 F1 (il cui arrivo era stato previsto da Heinrich Wilhelm Olbers, noto soprattutto per il paradosso che prende da lui il nome).
In conclusione, Leopardi fa delle riflessioni molto significative sulla storia dell'astronomia, prendendo spunto da Plinio il Vecchio.
Egli asserisce giustamente che tanto si racconta e si scrive sulla storia umana, fatta di guerre, battaglie, delitti, prese di potere e chi più ne ha più ne metta, e poco, al contrario, si narra della storia di quei grandi scienziati, gli astronomi, che ci hanno fatto scoprire le meraviglie del cosmo.
Infatti scrive Leopardi:

"Qui pongo fine alla Storia dell'astronomia. Plinio (Hist. Nat. II. 91) lamentossi un tempo della negligenza degli antichi nello scrivere la storia de' progressi dello spirito umano nella scienza degli astri. Ella è, dic'egli, una vera depravazione di spirito, che si ami riempir le carte di narrazioni di guerre, di stragi e di delitti, e non si voglia poi tramandare alla posterità nelle storie i benefici di coloro, che han posta ogni cura nell'illustrare una scienza così utile. Mosso da questo giusto rimprovero, intrapresi di scrivere la Storia dell'astronomia della quale son giunto al compimento. Se di codesto mio lavoro non curasi la presente età, possano almeno sapermene grado le ombre sacre di coloro, che contribuirono all'avanzamento della scienza degli astri."

Possiamo dunque affermare che, nonostante le carenze matematiche di Leopardi, il quale sicuramente possedeva una preparazione rivolta prettamente al piano umanistico-letterario, la sua Storia dell'astronomia è comunque un'opera pregevole e di grande rilievo per scoprire i personaggi e le vicende caratterizzanti tale stupenda e antica disciplina.  
Ora, vorrei introdurre il componimento poetico più noto dell'intera produzione leopardiana: trattasi dell'Infinito.
Innanzitutto, vi riporto il testo:

"Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare."

Composto nel 1819, l'Infinito è il primo, in ordine cronologico, degli Idilli leopardiani.
Vi si trova una riflessione profonda sul concetto di infinito, già accennata nello Zibaldone (una sorta di diario ove l'autore raccoglie i suoi pensieri su svariati argomenti).
Il succo dell'Infinito sta nel fatto che il poeta, essendo il suo sguardo ostacolato dalla "siepe", che quindi gli nega la contemplazione del "reale", cerca di immaginare cosa ci sia al di là di quell'ostacolo (o come diremmo in fisica, di quel vincolo).
Sicché nella sua mente subentra l'idea di un infinito spaziale, cioè di spazi senza limiti, immersi in "sovrumani silenzi" e in una "profondissima quiete".
Allo sviluppo della sua fantasia e immaginazione concorrono anche sensazioni uditive, come lo stormire del vento tra le foglie.
La voce del vento (nella tradizione poetica il vento è l'emblema di qualcosa di effimero e di vano) viene paragonata all'infinito silenzio creato dall'immaginazione e suscita l'idea del perdersi delle labili cose umane nel silenzio dell'oblio.
In tal modo, subentra pure il concetto di infinito temporale (l'eterno), lasciando in complessivo un senso di vago e indefinito, tipico della letteratura romantica, di cui Leopardi fu un brillante esponente.
Ma come tutto questo può collegarsi alla scienza?
A queste riflessioni leopardiane si possono associare 2 concetti della fisica moderna:

1) l'infinito;
2) le dimensioni spaziali extra.

Per quanto riguarda il primo, potremmo far riferimento al nostro Universo.
La domanda è: il nostro Universo è infinito o no?
In un certo qual senso, allo stato attuale, gli scienziati si trovano in una situazione simile a quella di Leopardi ostacolato dalla siepe.
Noi sappiamo che l'Universo è nato circa 13,7 miliardi di anni fa, mediante il Big Bang.
Ci si aspetterebbe quindi un universo che per quanto immenso, è limitato spazialmente.
Non possiamo saperlo con certezza: sussiste una sorta di orizzonte cosmico, cioè una certa distanza astronomica oltre la quale non possiamo vedere, neanche con i più potenti telescopi.
Gli astronomi possono osservare la porzione di Universo denominata "Universo osservabile", ovvero la regione sferica circondante la Terra dalla quale la luce ha avuto il tempo di arrivare fino a noi, da quando l'Universo si originò.
La luce proveniente invece da regioni più distanti di 13,7 miliardi di anni fa non ha avuto abbastanza tempo per pervenire sino alla Terra.
Se non c'è luce, non possiamo vedere: si pensi ai buchi neri!
Questo orizzonte cosmico è pertanto la nostra "siepe", oltre la quale non possiamo guardare; possiamo solo immaginare cosa ci sia al di là.
Le recenti teorie suggeriscono che il nostro Universo sia contenuto in un gigantesco Multiverso e che quindi il nostro Universo rappresenti solamente una "piccola" porzione dell'intero cosmo.
Tuttavia, dimostrare l'esistenza del Multiverso non è un'impresa facile, anzi quasi impossibile.
Chissà se un giorno riusciremo a oltrepassare tale "siepe cosmica", o siamo destinati a rimanere per sempre all'oscuro di ciò che si cela oltre, alla stregua del poeta recatanense!
Però, come anticipato in precedenza, si può effettuare un ulteriore paragone fra l'Infinito di Leopardi e la fisica moderna.
Il tutto si basa sul concetto di dimensioni spaziali extra.
Introdurrei la tematica tramite la splendida e chiarissima descrizione di Lisa Randall nell'introduzione del libro Passaggi Curvi:

"L'Universo ha i suoi segreti. Le dimensioni extra dello spazio potrebbero essere uno di questi. Se così stanno le cose, l'Universo è riuscito finora a nascondere tali dimensioni, proteggendone il segreto sotto una cappa di riservatezza. A prima vista, non c'è ragione di sospettarne l'esistenza. La campagna di disinformazione comincia fin dalla culla, che è la prima cosa che vi ha presentato 3 dimensioni spaziali. Erano le 2 dimensioni lungo le quali avete gattonato; più la rimanente dimensione lungo la quale vi siete arrampicati. Da quel momento, le leggi fisiche - per non parlare del senso comune - hanno corroborato la vostra fede nelle 3 dimensioni, soffocando qualsiasi sospetto che ce ne potessero essere altre. Ma lo spaziotempo potrebbe essere drammaticamente diverso da qualsiasi cosa abbiate mai immaginato...Proprio come "alto-basso" costituisce una direzione diversa rispetto a "sinistra-destra" e "avanti-indietro", nel nostro cosmo potrebbero esistere altre dimensioni completamente nuove. Anche se non le possiamo vedere con i nostri occhi o sentire con la punta delle dita, le dimensioni aggiuntive dello spazio sono una possibilità logica. Queste ipotetiche dimensioni inosservate non hanno ancora un nome. Ma, ove dovessero esistere, si tratterebbe di direzioni nuove lungo le quali le cose possono spostarsi...Alcuni sviluppi recenti suggeriscono che le dimensioni extra - per quanto non ancora riscontrate sperimentalmente, né del tutto comprese - potrebbero nondimeno risolvere alcuni dei misteri fondamentali del nostro universo...Non riusciremmo a capire perché gli eschimesi e i cinesi hanno in comune certe caratteristiche fisiche, se non facessimo riferimento alla dimensione del tempo: è questa che ci fa riconoscere la loro comune ascendenza. Allo stesso modo, le connessioni possibili con dimensioni ulteriori dello spazio potrebbero illuminare certi aspetti problematici della fisica delle particelle, portando a soluzione un insieme di misteri vecchi di decenni. Alcune relazioni fra le proprietà delle particelle e le forze, apparentemente inesplicabili quando lo spazio è incatenato a 3 dimensioni, paiono armonizzarsi con eleganza in un mondo con più dimensioni spaziali."

Se non vi è chiara l'analogia con Leopardi, cercherò di spiegarvela.
Abbiamo detto che Leopardi non può vedere cosa c'è oltre la siepe; non può sapere quali forme, quali geometrie, quali elementi caratterizzano ciò che vi risiede; può solo immaginare.
Allo stesso modo, noi percepiamo sempre 3 dimensioni spaziali ed i nostri limitati strumenti tecnologici ci impediscono magari di scovare l'esistenza di altre.
Magari queste sono così grandi che non riusciamo a rendercene conto, oppure risultano arrotolate su se stesse e quindi sono così piccole da non poterle osservare neanche mediante gli acceleratori di particelle, alla stregua dello LHC.
Siamo in un qualche modo vincolati a percepire solo 3 dimensioni spaziali, più quella temporale.
E allora? Chi ci dice che il mondo debba avere più dimensioni spaziali? Non potrebbero essere solo frutto della nostra immaginazione?
Ebbene, la maggior parte delle moderne teorie fisiche pressupone l'esistenza di dimensioni spaziali extra per aver senso!
Prendiamo come riferimento la teoria delle stringhe.
Essa stabilisce nella sua formulazione bosonica la bellezza di 26 dimensioni, di cui 25 spaziali ed una temporale, mentre nella sua formulazione supersimmetrica esse si riducono a 10 (9 spaziali, una temporale).
Ergo, non stiamo parlando di una dimensione extra, ma almeno di 6 dimensioni extra!
Tuttavia, non si pensi che l'idea delle dimensioni extra risalga agli ultimi decenni del XX secolo (cioè al periodo in cui è sorta la teoria delle stringhe).
Sussiste una famosa opera letteraria risalente addirittura al 1884, Flatlandia, ad opera di Edwin Abbott Abbott, in cui si immagina un mondo bidimensionale, appunto Flatlandia, dove risiedono figure geometriche piane.
Pensate che il narratore è un umile quadrato!
Proprio costui (il quadrato), un certo giorno, incontra qualcosa di nuovo e totalmente inaspettato: una sfera, ovvero un oggetto tridimensionale proveniente da Spacelandia (mondo a 3 dimensioni), che lo ragguaglia sull'esistenza di una terza dimensione.
Ma gli abitanti di Flatlandia non credono ad una sola parola riferita dal quadrato e lo imprigionano per aver divulgato un'eresia, anche perché quando una sfera attraversa un piano bidimensionale, essa si presenta come cerchio (figura bidimensionale, non tridimensionale!).
Il suddetto romanzo può essere letto con una sorta di "aria di superiorità", se ci poniamo come abitanti di Spacelandia (nel nostro mondo percepiamo effettivamente 3 dimensioni spaziali) che guardano dall'alto l'ambiente bidimensionale di Flatlandia.
Ma Abbott ci fa compiere una profonda riflessione: come ci comporteremmo se un giorno arrivasse sulla Terra un individuo sconosciuto dicendoci che proviene da un mondo a 4 dimensioni spaziali? e se fossero 5? e se fossero 6? e se fossero n?
Anche sotto questa prospettiva c'è dunque una "siepe" che forse (dicendolo attraverso termini filosofici) funge da velo di Maya per queste ipotetiche dimensioni extra.
Tirando le fila del discorso, ci siamo spinti in un viaggio appassionante tra la storia dell'astronomia e le strane congetture della fisica moderna, orientati da un filo conduttore fornitoci da uno dei più grandi letterati di sempre: Giacomo Leopardi.
Spero che questo articolo serva anche a far capire che non dovrebbe essere inculcato un distacco netto fra le discipline umanistiche e quelle scientifiche, come solitamente si fa a scuola.
Entrambe, come aveva già capito Pitagora circa 2500 anni fa, costituiscono gran parte della cultura dell'essere umano e presentano stretti collegamenti, a volte completamente inaspettati.
D'altronde sia il lato oggettivo (la scienza) che quello soggettivo (l'arte) della cultura sono parte integrante dell'uomo e non possono essere ignorati.
Vi riporto, in conclusione, un video dove è recitato l'Infinito di Leopardi con, in sottofondo, il brano Gymnopedie No. 3 di Erik Satie eseguito da Pascal Rogé:
 

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